sabato 28 maggio 2016

I Padri del deserto e il gusto


Cosa mangiavano i padri del deserto?

Se si dà un’occhiata al menù di questi asceti del IV-V secolo sono sempre presenti il brodo, oppure le zuppe di verdure, di cereali e di legumi.
- Un posto importante è riservato al pane. La Storia lausiaca non manca di informarci che sul monte di Nitria in Egitto c’erano «sette forni per la panificazione che servivano agli anacoreti del deserto» (HL 7,2: 39). Questo alimento era presente anche nelle varianti delle focacce, delle gallette e dei biscotti, la cui secchezza e durezza serve a far risaltare ancor di più la frugalità del loro modo di nutrirsi e alimentarsi.
- Il vino è sempre offerto con moderazione. Il rischio è quello dell’ebbrezza e che i demoni del vizio e dell’intemperanza si possano insinuare attraverso di esso.
- In generale i condimenti non sono guardati con favore. Il sale è sempre presente in quantità limitata. Esso ricorda l’azione che il cristiano deve portare nella realtà, perciò non è necessario sprecarlo a rischio di fargli perdere tutto il suo sapore (cf. Mt 5,13).
- Per quanto riguarda le carni viene raccomandata in generale l’astinenza, eccezion fatta per i soggetti più deboli e per le carni dei volatili. Il pesce invece (si tratta quasi sempre di pesciolini) viene comunemente cucinato e regolarmente consumato.
- Le concessioni che vengono fatte al dolce sono il latte, il miele, la frutta, soprattutto fichi, cocomeri e qualche primizia che veniva a maturazione a seconda delle stagioni. Ricordiamo, per esempio, che a rimpiazzare i dolciumi sicuramente c’erano anche i fichi secchi che facevano gola all’abate Arsenio (Arsenio 16: AP 45).


ARSENIO – 16
Raccontavano gli anziani che una volta furono regalati ai monaci di Scete alcuni fichi. Dato che erano cosa da nulla, non ne mandarono al padre Arsenio, perché non si offendesse. Saputolo, l’anziano non si recò alla liturgia. «Mi avete escluso – disse – dalla benedizione mandata da Dio ai fratelli, che io non sono stato degno di ricevere». Tutti udirono e furono edificati dall’umiltà dell’anziano. Il presbitero si recò a portargli dei fichi e lo condusse con gioia alla celebrazione comune.

ARSENIO – 19
Raccontò anche questo: «Quando il padre Arsenio udiva che ogni genere di frutti era maturo, diceva: – Portatemene. Quindi ne assaggiava una volta sola un po’ di ciascuno, rendendo grazie a Dio».

ARSENIO – 34
Ancora Daniele raccontava che una volta vennero da Alessandria alcuni padri per vedere il padre Arsenio. Uno di essi era zio del vecchio Timoteo, arcivescovo di Alessandria, detto «il povero», e aveva con sé uno dei suoi nipoti. Ma l’anziano non stava bene e non volle incontrarli, perché non venissero poi altri a disturbarlo. Si trovava allora presso Petra di Tura. Ed essi se ne ritornarono afflitti. Sopravvenne poi un’incursione di barbari, ed egli si trasferì nelle regioni inferiori. Saputolo, essi ritornarono da lui per vederlo e furono accolti con gioia. E disse a lui il fratello che era con loro: «Non sai, padre, che siamo venuti a trovarti a Tura e non ci hai ricevuti? ». «Voi avete gustato del pane e bevuto dell’acqua – gli dice l’anziano –; io invece, o figlio, in verità non ho gustato né pane né acqua né mi sono messo a sedere, per castigare me stesso, finché non ho appreso che eravate giunti a casa vostra, perché per causa mia vi eravate disturbati; ma perdonatemi fratelli». Se ne andarono consolati.

- A volte ciò che stupisce dei Padri è la modernità di alcune loro affermazioni. La tradizione ci ha consegnato l’immagine dei loro estenuanti digiuni, per cui di sicuro sorprende l’ istruzione di Antonio, patriarca del monachesimo cristiano, quando ad alcuni monaci, che avevano fiaccato i loro corpi con l’astinenza e il digiuno, dice che essi ugualmente «erano finiti ben lontano da Dio, per aver mancato di misura» (Antonio 8: AP 33).
- La misura è certamente la norma alimentare principale che regola la dieta dei solitari e degli asceti. Isaia di Scete, un altro monaco egiziano vissuto nel IV secolo, invita il confratello a mangiare «per dare il necessario al suo corpo perché lo sostenga nel suo ufficio e perché non desideri andare fuori» (Asceticon IV, 40: 50). E un po’ più sotto aggiunge un consiglio che ancora oggi è assolutamente condiviso e considerato salutare da tutti: «Da’ il necessario al tuo corpo di modo che quando ti alzi da tavola tu desideri ancora cibo» (Asceticon IV, 44: 50).
ISAIA DI SCETE – 6
6. Lo stesso padre Isaia chiamò uno dei fratelli e gli lavò i piedi; quindi gettò nella pentola una manciata di lenticchie. Appena cominciarono a bollire, le tolse dal fuoco. Ma il fratello gli disse: «Non sono ancora cotte, padre!». «Non ti basta di aver semplicemente visto il fuoco? – gli disse l’anziano. Questa è già una grande consolazione» [1].

[1] Per chi era avvezzo a grandi penitenze, è già una consolazione e un sollievo mangiare delle lenticchie non cotte, ma riscaldate al fuoco.
- Il superfluo, l’aggiunta, il di più sono sempre ritenuti un danno per la salute. Anche la discontinuità nell’alimentarsi viene criticata. L’invito è ancora quello di mangiare un po’ ogni giorno, evitando gli eccessi. Non è questo infatti che fa di un monaco un vero monaco, quanto piuttosto la fedeltà all’esempio di Cristo. Perciò una coscienza netta, un animo semplice e puro, il precetto della carità sono preferibili a qualsiasi, pur pregevole, astinenza.Un aforisma di Iperechio in questo senso è folgorante e particolarmente istruttivo:
IPERECHIO – 4
Disse anche: «È cosa buona mangiare carne e bere vino, e non mangiare con maldicenza le carni dei fratelli»[1].

[1] Di fronte al pericolo, che talora emerge, di estremizzare le pratiche ascetiche e di assolutizzarne il valore, sono molto significativi certi confronti che ridimensionano e relativizzano l'importanza attribuita all'ascesi e la subordinano all'umiltà, all'ubbidienza, alla carità.

PER CONCLUDERE… I Padri del Deserto, praticando il senso della misura anche nell’ambito dell’alimentazione, imparavano a gustare correttamente le cose di Dio, proprio come ci insegna lo Spirito Santo con il dono della Sapienza.

SINCLETICA – 4
Ha detto anche: «Non ti seducano le delizie dei ricchi del mondo come se quel vuoto piacere fosse di qualche utilità. Essi onorano l'arte culinaria e tu digiunando superi con cibi semplici l'abbondanza del loro vitto. È detto infatti: Un'anima che è nelle delizie si diletta di favi [1]. Non saziarti di pane e non desidererai il vino».

[1] Lo stomaco sazio disprezza il miele, per lo stomaco affamato anche l'amaro è dolce (Prv 27, 7).




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