Carraci - Mangiatore di fagioli
un video introduttivo di Philippe Daverio sulla relazione tra arte pittorica e gusto.
Il gusto è
sicuramente un fatto personale, soggettivo ci sembra quasi non ci sia nulla da
spiegare ma in realtà c’è molto di più; è un piacere che ci gratifica, ci
esalta, ci consola, ci identifica e ci unisce.
Perché mangiare
significa molto più che calmare la fame?
Scienziati e
artisti sono arrivati alla stessa risposta perché è il gusto che ci ha reso gli
uomini e le donne che siamo perché è il gusto che possiede la chiave della
nostra salute perché il gusto è come l’amore non possiamo farne a meno.
Il legame fra
arte culinaria e arti figurative è molto più stretto di quanto si possa
immaginare. Si tratta di una relazione secolare che affonda le sue radici nella
tradizione classica del fare pittura. Basta sfogliare Il Libro dell’Arte di
Cennino Cennini per rendersi conto che i cuochi e i pittori facevano uso delle
stesse materie prime e di analoghi strumenti. Il libro, composto dal pittore
veneto sul finire del XIV secolo, è uno dei più interessanti manoscritti in cui
si tramandano le tecniche delle botteghe artistiche medievali: nelle sue pagine
s’incontrano lo zafferano, utilizzato per estrarre il colorante giallo e il
ginepro, dalla cui resina si produceva una ottima “vernice liquida”, adatta a
rendere brillanti i colori; viene descritto il mortaio, indispensabile per la
macinazione dei minerali dai quali si ricavavano le polveri coloranti; è
spiegato come ottenere buona carbonella, pregiata non solo per cuocere le carni
o il pesce, come ben sapevano i cuochi, ma indispensabile anche per fare
carboncini da disegno o per preparare i pigmenti neri degli inchiostri.
L’elenco potrebbe continuare con il vino, il miele, il latte, la mollica del
pane, le uova che non sono solo alimenti necessari per un buon banchetto, ma
anche gli ingredienti fondamentali per gli impasti cromatici e la tavolozza di
un abile pittore.
Alla stregua di una gustosa pietanza, spesso definiamo
“buono” un bel dipinto, preparandoci a “mangiarlo con gli occhi” quando la sua
bellezza richiede tutta la nostra attenzione.
Le papille gustative dell’universo culinario tracciano
sentieri che mirabilmente
s’intrecciano con le trame dell’arte, come ben
sapeva il pittore e critico tedesco Anton Raphael Mengs che scrisse: “IL gusto
della pittura può essere, come quello della gola, assuefatto bene o male,
poiché l’occhio si avvezza come la lingua. Bevande o cibi forti rovinano il gusto, ma cibi leggeri
conservano il delicato senso della lingua. Così è nella pittura: cose
esagerate e sovraccariche rovinano il gusto dell’arte”. Nella
storia dell’arte esistono interessantissime rappresentazioni degli alimenti di
cui l’uomo si è sempre nutrito: erbe raccolte dalla terra, frutti colti dagli
alberi, primizie vendute al mercato, ogni tipo di specie animale che fa bella
mostra di sé nelle nature morte.
Ricotta:
preparazione, Tacuinum Sanitatis, Parigi, Biblioteca Nazionale di Francia
Nei Tacuina sanitatis, che sono la più ricca
testimonianza della vita e dei costumi medievali, sono raccolte le norme del
vivere bene e primariamente viene indicata, come regola fondamentale, il
nutrirsi correttamente. Affinché ciò avvenga, bisogna conoscere gli alimenti,
coglierli nella giusta stagione, saperli trattare. Il testo è puntualmente
accompagnato da splendide miniature che mostrano non solo le figure all’opera
nella raccolta dei frutti o nella preparazione del cibo, ma anche personaggi
intenti a godersi il prodotto di tale fatica. Qui la fascinazione grafica e
cromatica dell’illustrazione aumenta esponenzialmente il potere comunicativo
della parola.
Jeremias van Winghe,
Domestica in cucina, 1635, olio su tela, cm 115×85, collezione privata
Nel genere della natura morta, i pittori d’oltralpe
seicenteschi furono dei maestri assoluti, come dimostra l’opera del tedesco
Jeremias van Winghe. A dispetto del titolo “Domestica in cucina”, risulta
evidente a chi si pone di fronte a questa “tavola” che il vero soggetto del
dipinto non è la figura femminile, né tanto meno le persone ritratte sullo
sfondo, bensì l’esposizione di ogni specie commestibile che l’artista ha
riprodotto, con assoluta verosimiglianza, in primo piano.
Si tratta di un vero e proprio banchetto per gli occhi
e, come il gatto che appoggia golosamente la zampa sulla carne, lo spettatore
sente la tentazione di allungare la mano per prendere lo scintillante bicchiere
o per servirsi di qualche oliva.
Dall’antichità classica fino alle più recenti
avanguardie, l’arte è costellata di banchetti di ogni tipo, dai cenacoli sacri
legati al racconto della vita di Cristo alle tavolate profane e festose degli
impressionisti fino alle surrealiste mense imbandite da Salvador Dalì o dagli
esponenti del Nouveau Réalisme.
Suggestive e
curiose sono le opere di Giuseppe Arcimboldo o Arcimboldi, come è nominato in diversi
documenti d'archivio (Milano, 5 aprile
1526 – Milano,
11 luglio
1593) è
stato un pittore
italiano,
noto soprattutto per le "Teste Composte", ritratti burleschi eseguiti
combinando tra loro, in una sorta di trompe-l'œil,
oggetti o elementi dello stesso genere (prodotti ortofrutticoli, pesci, uccelli,
ecc.) collegati metaforicamente al soggetto rappresentato, in modo da sublimare
il ritratto stesso.
Affresco cesto di fichi di Oplontis(Napoli)
Nella cultura
italiana fin dagli antichi romani molte opere artistiche e decorazioni sono
state rappresentate con passione per esaltare il cibo.
Questo modo di
fare viene ripreso nella pittura più alimentare che esiste che sono le ultime
cene dove appare una sorta di racconto complessivo del cibo dal tardo medioevo
fino al primo rinascimento; con la grande rivoluzione alimentare diventa una delle
realtà della potenza politica ed economica italiana.
Infatti il cibo
diventa un motivo di esaltazione, diventa la rappresentazione del potere della
classe sociale e indica un fatto di prestigio (pane e legumi per i poveri,
dolci e selvaggina per le classi elevate). Il "Mangiatore di fagioli"
di Annibale Carracci, il "I Mangiatori di ricotta"
di Campi e la "Vecchia cuciniera" di Velasquez,
sono tutti dipinti accomunati dalla presentazione di cibi poveri che
rappresentano la ricompensa per il duro lavoro svolto dai più
miseri.
Ci
siamo spesso trovati di fronte a innumerevoli opere d'arte, rappresentanti il
cibo e non ne coglievamo il significato, perché utilizzare proprio quegli
alimenti e in quello specifico contesto.
Inizialmente
il cibo veniva inserito come elemento secondario e accessorio all'interno dei
quadri e veniva utilizzato per allestire una determinata scena e/o per
rappresentare un preciso ambiente.
In età
antica si disegnava principalmente su utensili, dai bicchieri ai piatti,
alle brocche.
Il cibo era la base di numerosi riti sacri, assolvendo due principali
funzioni: avere il consenso e la benevolenza di Madre Natura e
contemporaneamente togliere la colpa per aver sottratto le materie prime
alla terra. Se inizialmente figurava come elemento del reale e come indice del
benestare del magnate che commissionava il dipinto, il cibo all'interno delle
opere d'arte inizia ad assumere una vera e propria valenza simbolica a partire
dal Medioevo e più nello specifico con la simbologia cristiana.
Non sarà solo legato alla virtù ma anche al vizio, al peccato capitale e
con certezza alla Gola.
Nel Medioevo, i cibi assumono significati allegorici, non
tanto legati al sostentamento e alla nutrizione, quanto al fattore culturale,
rendendo espliciti i rapporti e la differenza tra le classi sociali,
identificando regioni geografiche, il susseguirsi delle stagioni e persino le
fasi della vita.
In epoche precedenti, le vivande vengono implicate nei riti religiosi,
soprattutto nelle feste; ecco perché spesso al centro della scena di un dipinto
troviamo il banchetto, simbolo di convivialità e socializzazione, sul
quale le sontuose portate si contrappongono alla vita spirituale.
Nel Medioevo la
consumazione del pasto, specialmente in occasione di un banchetto, seguiva un
preciso rituale la cui supervisione era affidata al “maggiordomo” o “maestro di
casa”: nell’Alto medioevo si trattava del “cellarius” il dispensiere incaricato
all’approvvigionamento del cibo, ruolo poi passato allo “scalco” l’incaricato
al taglio della carne sulla tavola del Signore. Nel Rinascimento questa figura
assume il nome di “Maestro di Cerimonia”, responsabile del personale di
servizio, dell’aspetto della tavola, della composizione del menù, del tema e
tenore degli intrattenimenti.
Ecco come viene
definito dal letterato cinquecentesco Sperone Speroni: "Egli è poeta, che
canta versi per sfuggire al tedio e alla stanchezza. È geometra quando sceglie
e dispone pezzi tondi e quadrati, chiari e scuri, a seconda della pietanza e
del vassoio, è matematico quando conta le scodelle e le pentole, pittore quando
cobra gli arrosti, le salse e i sughi. E’ medico perché sa cosa è più
digeribile e cosa meno, e fa giungere i piatti in tavola nella giusta sequenza,
chirurgo che sa tranciare con maestria, filosofo perché conosce la natura dei
cibi, delle stagioni, degli elementi ignei più o meno forti. Egli è vario come
la sua arte, dolce e amaro a un tempo".
La scena che maggiormente veniva rappresentata nella società medievale
era "L'Ultima Cena" nella quale si evidenziano i principali cibi-simbolo.
Questo famoso
dipinto si basa sul Vangelo di Giovanni 13:21, nel quale Gesù annuncia che
verrà tradito da uno dei suoi apostoli. L'opera si basa sulla tradizione dei
cenacoli di Firenze, ma come già Leonardo aveva fatto con l'Adorazione dei
Magi, l'iconografia venne profondamente rinnovata alla ricerca del significato
più intimo ed emotivamente rilevante dell'episodio religioso. Leonardo infatti
studiò i "moti dell'animo" degli apostoli sorpresi e sconcertati
all'annuncio dell'imminente tradimento di uno di loro.
Del calice col
vino non si fa parola nel vangelo di Giovanni, nel quale non è neppure narrata
l'istituzione dell'Eucaristia; la mano di Pietro posata sulla spalla di
Giovanni è il gesto narrato nello stesso quarto vangelo, in cui si legge che
Pietro fa un cenno all'apostolo più giovane e gli chiede chi possa essere il
traditore (GV 13:24). L'aspetto di Giovanni infine fa parte dell'iconografia
dell’epoca, riscontrabile in tutte le "ultime cene" dipinte da altri
artisti tra il XV e il XVI secolo, in cui si rappresentava l'apostolo più
giovane (il "prediletto" secondo lo stesso quarto vangelo) come un
adolescente dai capelli lunghi e dai lineamenti dolci. In particolare
ricordiamo che nella Legenda Aurea di Jacopo da Varazze,
Giovanni viene descritto come un "giovane vergine" il cui nome
"significa che in lui fu la grazia: in lui infatti ci fu la grazia della
castità del suo stato virginale".
Anche la mancanza
delle aureole, che a certi scrittori di mistero è parsa "sospetta",
in realtà non ha nessuna valenza eretica. Tanti altri artisti prima di
Leonardo, soprattutto di area nord-europea, avevano omesso le aureole nelle
loro opere di soggetto sacro.
“Sacra Conversazione” o anche detta “Pala di
Brera”, di Piero della Francesca (1472 ca. – tempera e olio su tavola)
Questa
tempera su olio è anch’essa di grande significato simbolico. L'opera presenta
al centro la Madonna in trono in
posizione di adorazione, con le mani giunte verso Gesù Bambino addormentato
sul suo grembo. La sua figura domina la rappresentazione e il suo volto è il
punto di fuga dell'intera composizione. Il trono si trova poggiato su un
prezioso tappeto anatolico, un oggetto raro e prezioso ispirato a dipinti
analoghi dell'arte
fiamminga. Attorno vi è una schiera di angeli e santi. La particolare
disposizione del gruppo sacro centrale è rara ma documentata già nella bottega
muranese dei Vivarini o in un
polittico di Antonio da Ferrara presente nella chiesa urbinate di San Donato dal 1439. Probabilmente la posizione venne scelta dal
committente per il collegamento con un sentimento a lui caro, la pietà filiale.
In basso a destra si trova, appunto, inginocchiato e in armi, il duca Federico.
Fa da sfondo alla composizione l'abside di una chiesa
dalla struttura architettonica classicheggiante. Il Bambino ha appeso al
collo un ciondolo di corallo che cela rimandi al rosso del sangue, simbolo di
vita e di morte, ma anche della funzione salvifica legata alla resurrezione di Cristo. La stessa
posizione addormentata era una prefigurazione della futura morte sulla croce. Federico
è esposto più all'esterno, fuori dall'insieme degli angeli e dei santi, come
prescriveva il canone gerarchico dell'iconografia cristiana rinascimentale. L'impianto prospettico del dipinto
converge in un unico punto di fuga centrale,
collocato all'altezza degli occhi della Vergine il cui volto ovale si pone
perfettamente in linea con l'uovo di struzzo che pende dal catino absidale, di
cui riproduce la forma perfetta. L'armonia della composizione è ottenuta
attraverso la ripetizione di un modulo circolare: la volta a botte in alto, lo
sfondo scandito da pannelli di marmo e i santi disposti intorno alla Vergine
sottolineano la struttura semicircolare dell'abside. L'uovo è l'emblema
universale della natura e si lega all'immagine di Cristo che risorge. Torniamo a parare
quindi della simbologia Sacra con l'ostia che rappresenta per
antonomasia il corpo di Gesù insieme alla figura del pesce che
sta ad indicare anche l'acqua, fonte di vita e il battesimo e
rimanda all'episodio biblico della pesca miracolosa. L'uva e nello
specifico il vino rinvia al sangue di Cristo,
tant'è vero che Sant'Agostino, in uno dei suoi scritti, paragona Gesù ad un
grappolo d'uva, mentre nell'arte profana viene associata al Dio Bacco e
viene considerato lo strumento che, tramite lo stato d'ebrezza, facilita la
comunicazione con il divino. Il pane è l'elemento che
maggiormente figura sia nelle opere laiche che in quelle sacre ed indica il
corpo di Gesù e la forza inarrestabile della natura.
La mela,
altro elemento molto frequente, nella mitologia greca rimandava alla figura
di Venere e delle Tre Grazie,
Mentre posta
nelle mani di Adamo ed Eva si riferisce alla caduta dell'uomo e alla negazione
dell'Eden.
Tra le mani di Gesù diviene invece
simbolo della missione di redenzione del genere umano.
Il
melograno è un albero leggendario,
sinonimo da millenni di fertilità per tutte le culture che si sono lasciate
sedurre dai suoi frutti, ricchi di semi dall’accattivante colore rosso ed
espressione dell’esuberanza della vita.
.
Il suo frutto è stato rappresentato fin
dall’antichità solo o tra le mani di divinità per le quali era sacro. Più tardi
lo troviamo posto nella mano di Gesù Bambino alludendo alla nuova vita da lui
donataci oppure nelle mani della Madonna (famosissima quella di Botticelli).
Nell’arte copta si incontra, invece, l’albero del melograno come simbolo di
resurrezione. Le leggende, le
tradizioni ed i simbolismi collegati al melograno sono tanti quanti i suoi
semi! Simbolo universale dell’eros,
della fertilità, della prosperità, della fortuna, ma anche dell’Aldilà, cantato da Omero, narrato da
Salomone e da Shakespeare, fatto diventare leggenda dai romani, raffigurato in
numerosi quadri. Nei quadri
medievali e rinascimentali le forme del cibo risultano essere essenziali e
semplici, diventando così attributo nella rappresentazione di scene religiose.
Si dovrà aspettare il 1596 perché Caravaggio
dipinga la celeberrima “Canestra di Frutta”, prima opera conosciuta nella quale
il cibo non è accessorio, ma protagonista assoluto della tela. Agli inizi del
seicento compare nell’arte il termine “Still Leben”, letteralmente “vita ferma”,
poi tradotto in “natura morta”, con il quale si indicano quelle opere che
rappresentano elementi statici come libri, strumenti musicali, e naturalmente
cibo.
IL gusto nella letteratura
Gustave Flaubert.
Rouen, 12 dicembre 1821
– Croisset, 8 maggio 1880) è stato
uno scrittore francese. È considerato l'iniziatore del naturalismo nella letteratura
francese ed è conosciuto
soprattutto per essere l'autore del romanzo Madame Bovary e per l'accusa di immoralità che questa
opera gli procurò. Tuttavia Flaubert viene ricordato in ambito letterario anche
per opere quali L'educazione sentimentale e Salammbô, oltre che per la sua passione per lo stile e l'estetica.
Flaubert racconta
la vita di madame Bovary una donna alla ricerca di un sogno nella sua vita,
qualcosa sta per accadere e ha il sapore di un annuncio… Un invito a un ballo …
In questo celebre
romanzo la descrizione cessa di essere un elemento ornamentale della narrazione
per divenire tempo allo stato puro.
La descrizione
degli oggetti che riempiono la stanza sulla cui soglia Emma Bovary si sofferma
un istante e rivelando al lettore nella sua realtà soggettiva più profonda: non
un semplice attimo, ma un lasso di tempo in cui un intero mondo va incontro
alla protagonista.
In casi analoghi
a questo, saltare la descrizione equivale a perdere il “respiro” del romanzo.
Marcel Proust
scrittore, saggista e critico letterario francese.
Dal suo
monumentale romanzo Alla ricerca del tempo perduto estrapoliamo una frase che
senza punti disseziona tutto in particolari anche poco importanti e con una
tecnica sopraffina, ci porta a una realtà riuscendo a far percepire le
sensazioni, facendoci assaporare sentimenti nuovi e portando il lettore ad un
esperienza di gusto raffinato.
La sua bravura
nella tecnica di sintassi e l’attenzione che pone al lettore lo rendono
affascinante e coinvolgente trasmettendo una vera e propria ambizione nel suo
esporsi.
Lui credeva
fermamente di poter arrivare nel cuore del mondo, proprio attraverso la sua
tecnica.
Gioacchino Rossini
1792-1868
Compositore
italiano conosciuto per essere stato uno dei più grandi operisti della storia
della musica.
Autore
di lavori famosissimi e celebri quali: il barbiere di Siviglia, l’italiana in
Algeri, la gazza ladra, la Cenerentola e Guglielmo Tell.
Le ricette
del Rossini bon vivant
Rossini era un
amante della buona cucina. Sin da bambino – secondo i suoi biografi – avrebbe
fatto il chierichetto essenzialmente per poter bere qualche ultima
goccia del vino contenuto nelle ampolline della Messa.
Ma, lo si capisce
facilmente, questa asserzione – pure riportata in passato – ha il sapore della
leggenda che, nel tempo, si è costruita attorno ad un personaggio sicuramente
dalle molte sfaccettature e ricco di ironica originalità.
Alcune delle
frasi che gli vengono attribuite e che, per questo aspetto, meglio lo
definiscono sono: “l'appetito è per lo stomaco quello che l'amore è per il
cuore”. “Non conosco” era solito aggiungere “un lavoro migliore
del mangiare”; “Per mangiare un tacchino dobbiamo essere almeno in due:
io e il tacchino”; “Mangiare, amare, cantare e digerire sono i quattro
atti di quell'opera comica che è la vita”.
Il compositore
era spesso alla ricerca di prodotti di ottima qualità che faceva giungere da
diversi luoghi: da Gorgonzola l'omonimo
formaggio, da Milano il panettone, ecc.
Era anche grande
amico di Antonin
Carême, uno dei più famosi
chef dell'epoca, il quale gli dedicò parecchie delle sue ricette; al che
Rossini contraccambiò dedicando proprie composizioni musicali al grande cuoco.
Una delle ricette che Rossini amava di più è l'insalata che aveva personalmente
ideato, composta da mostarda, limone, pepe, sale, olio d'oliva e tartufo.
Durante la visita
di Richard Wagner nella sua villa di Passy, è stato narrato
che Rossini si alzasse dalla sedia durante la conversazione quattro o cinque
volte per poi tornare a sedersi dopo pochi minuti. Alla richiesta di
spiegazioni da parte di Wagner, Rossini rispose: "Mi perdoni, ma ho sul
fuoco una lombata di capriolo. Dev'essere innaffiata di continuo".
Nel libro
"Con sette note", di Edoardo Mottini, è scritto che un ammiratore –
vedendolo così allegro e pacifico – chiese al maestro se egli non avesse mai
pianto in vita sua: "Sì", gli rispose Rossini, "una sera, in
barca, sul lago di Como. Si stava per cenare e io maneggiavo uno
stupendo tacchino farcito di tartufi. Quella volta ho pianto proprio di gusto:
il tacchino mi è sfuggito ed è caduto nel lago!".
Della passione
culinaria di Rossini restano varie ricette, nelle quali compare sempre il tartufo
d'Alba, o forse, meglio, di Acqualagna, viste le origini del Maestro, e, tra queste, i Maccheroni
alla Rossini, ripassati in padella col tartufo, ed i tournedos alla
Rossini, cuori di filetto di manzo cucinati al sangue, poi coperti con foie gras e guarniti col tartufo.
Jean Anthelme
Brillat-Savarin (Belley, 1º aprile 1755 – Parigi, 2 febbraio 1826) è stato
un politico e gastronomo francese.
Scrisse una
memoria sul duello e alcuni trattati giuridici, ma la sua fama è interamente
legata a un libro divagante e aforistico, La fisiologia del gusto (Physiologie
du Goût, ou Méditations de Gastronomie Transcendante; ouvrage théorique,
historique et à l'ordre du jour, dédié aux Gastronomes parisiens, par un
Professeur, membre de plusieurs sociétés littéraires et savantes), che
mescola amabilmente nozioni scientifiche, riflessioni filosofiche, aneddoti
storici, consigli e ricordi. L'opera, che fonda la figura dell'intellettuale gastronomo e che è un caposaldo teorico
della cucina borghese, eserciterà una straordinaria influenza
sulla letteratura culinaria successiva.
Francesco Petrarca (Arezzo, 20 luglio 1304 – Arquà, 18/19 luglio 1374) è stato uno scrittore, poeta e filosofo italiano, considerato il fondatore dell'umanesimo e uno dei fondamenti della letteratura italiana, soprattutto grazie alla sua opera più celebre, il Canzoniere, patrocinato quale modello di eccellenza stilistica
da Pietro Bembo nei primi
del '500.
Uomo moderno, slegato ormai dalla
concezione della patria come mater e divenuto cittadino del mondo,
Petrarca rilanciò, in ambito filosofico, l'agostinismo in contrapposizione alla
Scolastica ed operò una rivalutazione storico-filologica dei classici latini.
Fautore dunque di una ripresa degli studia humanitatis in senso antropocentrico (e non più
in chiave assolutamente teocentrica), Petrarca (che ottenne la laurea poetica a Roma nel 1341) spese l'intera sua vita
nella riproposta culturale della poetica e filosofia antica e patristica attraverso l'imitazione dei
classici, offrendo un'immagine di sé quale campione di virtù e della lotta
contro i vizi. La storia medesima del Canzoniere, infatti, è più un
percorso di riscatto dall'amore travolgente per Laura che una storia d'amore, e in
quest'ottica si deve valutare anche l'opera latina del Secretum.
Le tematiche e la proposta culturale
petrarchesca, oltre ad aver fondato il movimento culturale umanistico, diedero
avvio al fenomeno del petrarchismo, teso ad imitare stilemi, lessico e generi poetici
propri della produzione lirica volgare dell'Aretino.
https://www.youtube.com/watch?v=hcrpTkNA5dw
«Le operazioni dell'immaginazione
sono i princìpi da cui nascono i sentimenti del gusto. Per il fatto che essi
nascano dall'immaginazione non significa che essi siano fantastici, immaginari
o ideali. Essi sono universalmente prodotti dalla forza dell'immaginazione, che
è estremamente importante, visto che essa influisce sulle operazioni
dell'anima. Le operazioni che dipendono dall'immaginazione possono esser assai
forti per formare del gusto, ma mancare nello stesso tempo della vivacità e
dell'estensione che fanno il genio».
Per saperne di più segnaliamo: |
- La prefazione di questo libro offre degli spunti interessanti, il libro inoltre ha dei capitoli dedicati al senso del gusto nell'arte e nella letteratura, magari in biblioteca si trova...
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Cinema: Vittorio Gassman
tratto da" l uomo dal fiore in bocca
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